Questione di Stile: capitolo 4

Siamo pronti con il quarto capitolo del nostro fotoromanzo "Questione di Stile" scritto per noi da Marinella Ferrero.

Ph Andrea Asti e Raffaele Sordillo.

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Un ringraziamento speciale va ad Enzo Pagano della scuola  "ACCADEMIA DELLO SPETTACOLO" per averci prestato il teatro. Tutti i giovani aspiranti attori, ballerini e cantanti possono andare a trovare tutto lo staf in via Villar, 25 a Torino http://www.accademiadellospettacolo.it/

                                       QUARTO CAPITOLO:

 

Sono iniziate le prove pomeridiane per lo spettacolo. Mi sento decisamente intrappolata e come se non bastasse, siamo chiusi in teatro da circa due ore. La preside e altri insegnanti ci stanno facendo l’ennesima predica perché sembra essere successo qualcosa di poco educativo e consono all’ambiente scolastico.

 

 

Mi sembrano le solite parole vuote, fatte di luoghi comuni; i soliti discorsi per riprendere i comportamenti inappropriati dei ragazzini ricchi, che fanno finta di apparire perfetti e poi fuori di casa sono fuori da ogni controllo e dimenticano l’educazione impeccabile che hanno ricevuto.

 

La mia mente sta già vagando e si rifugia nell’obiettivo di far revocare a mia mamma la punizione che mi è piovuta addosso come un macigno. Tutto sommato un macigno meno pesante del dovermi fermare dopo la scuola per preparare questo stupido spettacolo. Siamo seduti in platea sotto al palco e la preside si aggira come una pantera mentre il professore di matematica mi lancia occhiate di diniego, di fianco agli altri insegnanti schierati.

 

 

Sto studiando le vie di fuga. Per raggiungere l’uscita basta che la preside si giri e gli altri professori si distraggano un attimo. In realtà non ho ascoltato neanche una parola di quello che stanno dicendo ma a un certo punto sento pronunciare il nome di Martina. Mi irrigidisco e mi tiro su di scatto dalla sedia. Effettivamente Martina oggi non c’è ma lei di solito è così brava a suonare il piano che partecipa solo alle ultime prove. Adesso mi interessa sapere cos’è successo. Inizio a fare domande ma nessuno mi risponde; la preside mi dice di fare silenzio.

 

 

Chiedo nervosa al compagno seduto vicino che mi risponde <<la vita è triste, succedono cose tristi. Forse Martina l’ha capito adesso>>. Francesco, fa decisamente parte del gruppo degli “emo”. Così mi sento di rispondergli senza filtri <<Francesco, la vita non è triste. È triste che tu abbia libertà di parola. È triste che tu possa esprimere quei due pensieri inutili che ti passano per la testa ed è inutile che li esterni al mondo. Tu sei triste>>. Quando si parla di Martina scatta in me un istinto di protezione. Sarà perché lei è la parte migliore di me, quella pura, da preservare.

 

 

Lei non è come queste persone vuote. Non sono ancora riuscita a capire cosa sta succedendo quando Giorgia si avvicina e mi sussurra a bassa voce <<Ma davvero non sai cos’è successo? Qualcuno con un finto profilo di Facebook ha pubblicato sulla bacheca delle foto di Martina in compagnia del professore di filosofia>> e continua <<le foto sono in rete da stamattina, lei deve averle rimosse subito ma i nostri compagni di classe le hanno salvate e hanno aperto un gruppo intitolato “baci rubati”. Tutta la scuola non fa che parlare d’altro. Martina non è venuta a scuola oggi ma pare che i suoi genitori non riescano a trovarla>>. Le sue parole mi stordiscono. Non è possibile che si stia parlando di Martina e non è possibile che io non ne sapessi nulla.

 

 

Martina mi aveva accennato di una cotta per un ragazzo più grande ma non mi aveva detto niente. Sono arrabbiata con lei ma sono più preoccupata. Vorrei vederla adesso per dirle che sono arrabbiata e per farmi raccontare tutto; soprattutto per saperla al sicuro. La seconda reazione che riesco a controllare poco è quella di aggredire chi ha potuto fare una cosa del genere. I ragazzi della nostra età sono crudeli. Sanno essere spietati e sembrano essere lì in agguato ad aspettare che tu faccia un solo passo falso per poterlo dire a tutti che tu non vali niente, o comunque meno di loro, per metterti in imbarazzo. Loro non ci pensano a come ci si possa sentire quando si è vulnerabili sotto gli occhi di tutti. Mi ricordo che allo stupido spettacolo dell’anno scorso ho sbagliato l’uscita per l’inchino finale. Uscivamo dalle quinte in modo alternato una fila per volta, una a destra e una sinistra. Io dovevo uscire con la fila di sinistra e invece ho sbagliato, sono uscita da sola, marciando a tempo di musica ma da sola. Ludovica, Saverio, Ramona, Francesca hanno riso di me.

 

Ricordo che mi sono vergognata molto e di tutti i ricordi che ho, questo è uno dei più vividi. Non credo siano persone intelligenti e non mi importa del loro giudizio, però ricordo la cattiveria della loro risata. Martina non si merita tutto questo. Le mando subito un messaggio per sapere se sta bene ma non mi risponde. L’ultimo accesso su whatsapp è delle 13:30 di stamattina. Per sicurezza provo a scriverle anche su Messanger. Devo uscire da qui per chiamarla e andare a cercarla. La preside, che non facevo così perspicace, ha intuito subito il mio intento, e mi ricorda che questa settimana ho già preso una nota. Rimango seduta e aspetto che finisca la predica. Non appena la seduta è sciolta corro fuori e provo a chiamarla. Il telefono squilla a vuoto e ogni squillo mi fa sprofondare in uno stato d’ansia sempre più angosciante. 

 

 

 

Inizio a pensare a tutti i posti in cui potrebbe essere e parto dall’aula di musica. Le mando ancora un messaggio <<Marti che fine hai fatto? Sono preoccupata per te>> nessuna risposta. Mi aggiro per il teatro, anche in questa situazione vorrei scappare in un posto lontano ma senza accorgermene mi ritrovo nei camerini. In lontananza sento il vociare dei miei compagni che non fanno altro che parlare di quello che è successo. Mi lascio cadere su una sedia e cerco di riflettere ma sono molto preoccupata e non riesco a stare ferma. In un attimo mi ritrovo a fissare dei vestiti appesi. Voglio solo riuscire a immaginare dove possa essere andata Martina. La mia attenzione, già decisamente labile a causa dell’ansia, viene catturata dai bellissimi abiti.

 

 

Ci sono vestiti da sera con gli strass, vestiti corti di ogni colore, abiti casual, camicie e sembrano tutti bellissimi. Mi immagino con uno di questi addosso e da dietro arriva una voce che mi dice <<secondo me l’abito blu ti starebbe bene>>. In questo momento dimentico tutto, la scuola, Martina, i miei compagni, la preside, il 4 in matematica. Avrei voluto rispondere <<anche a me piacerebbe provarlo. Sai, di solito non mi preoccupo molto di quello che indosso, ma questi sono proprio degli abiti bellissimi e vorrei un tuo parere per capire se mi sta davvero bene>>. Ecco, questo è quello che avrei voluto dire al posto di <<gra..non sono qui….cioè sono qui ma no abiti…Martina, non trovo>>. Ecco, questo è tutto ciò che sono riuscita a dire a Pier Ferdinando Maria, che sì, ha un nome tanto nobile quanto terribile, ma per contro è il ragazzo più carino e a quanto pare più intelligente della scuola.

 

 

Non ho mai pensato che potesse rivolgere la parola proprio a me, che sono diversa dalle ragazze che frequentano la mia classe. Faccio parte della schiera degli invisibili e quindi ho sempre pensato di essere trasparente anche per lui. Qualche volta quando prendo l’autobus per tornare a casa, da lontano mi è capitato di guardarlo e immaginare come potesse essere uscire con lui. Ho sempre voluto immaginarlo divertente, gentile, intelligente e con un gran senso dell’ironia, quasi come il mio.

 

 

Finalmente dopo tanto fantasticare siamo uno di fronte all’altra e sono come paralizzata. Non riesco a dire niente, figuriamoci a pensare a qualcosa di intelligente da dire. Ma lui, che ovviamente è più disinvolto di me, prende un vestito e me lo sporge.

 

 

Per fortuna in quel momento squilla il cellulare; è un messaggio di Martina che mi riporta alla realtà <<Mi spiace. Ho fatto un casino. Ho bisogno di pensare. Ti voglio bene>>. L’ansia si trasforma in paura. Paura che Martina posso fare qualcosa di sbagliato o che non sia abbastanza forte per sopportare tutto questo. Che poi, in realtà, non è niente di irreparabile, niente di grave. Eppure ci sono situazioni che non dovrebbero essere rese pubbliche. Relazioni, sentimenti che custodiamo gelosamente e che hanno bisogno della riservatezza per mantenersi sani. Vorrei fare qualcosa e provo subito a richiamarla. Il telefono continua a squillare a vuoto. <<Ehi tutto bene?>> mi chiede Pier.

 

 

A quel punto torno alla realtà e gli rispondo come una persona quasi normale <<si, cioè no. Non riesco a parlare con Martina. Ho bisogno di sapere dov’è>>. <<Già, quello che è successo non dev’essere facile da affrontare, ma vedrai che domani capiterà qualcosa a qualche altro malcapitato e tutti si dimenticheranno di questa storia>> con queste parole dovrei sentirmi meglio ma mi sembra una frase di circostanza. Apprezzo comunque lo sforzo e il suo sorriso rassicurante. Mi pento subito di questo pensiero, non posso distrarmi ma sono contenta che lui sia qui, soprattutto perché si è offerto di darmi una mano a cercare Martina. Se riesco a smettere di balbettare e di parlare in finto bulgaro potrei anche fare la figura di una ragazza nella media.

 

Usciamo dal teatro e iniziamo a camminare.

 

 

Pierluigi inizia a raccontarmi di come è venuto a conoscenza dell’accaduto, di quanto è dispiaciuto per me e per Martina, di come certe cose non dovrebbero succedere. Iniziamo a raccontarci della scuola, dei nostri interessi e inizio subito a fargli domande sui suoi gusti musicali. Green Day, Bruno Mars, Lady Gaga, Subsonica, Jovanotti, Rovazzi, sono le sue preferenze. Gli ho detto che se non fosse stato per Rovazzi, evidente mania di onnipotenza, lo avrei fatto partecipare agli scambi musicali tra me e Martina. Abbiamo riso per questa mia affermazione. Ci siamo lasciati alle spalle via Po e abbiamo attraversato Piazza Vittorio.

 

 

Davanti a noi la Gran Madre ci stava aspettando. Io e Martina abbiamo passato molti pomeriggi sulle scalinate della Chiesa a guardare il fiume, la città, le luci, la gente da un po’più in alto. È sempre stato il nostro posto speciale dove rifugiarci. Speravo che Martina fosse lì. Con un riflesso incondizionato gli afferro la mano e accelero il passo. Saliamo i gradini quasi correndo ma lei non c’è. Mi lascio cadere per terra sconsolata. Pier si avvicina e mi dice <<Ehi, non preoccuparti, andrà tutto bene>>. Ho un brutto presentimento.

 

 

Torniamo verso il teatro perché ho dimenticato lo zaino con i libri. Quando arriviamo le luci sono ancora accese e troviamo ancora tutti lì a parlare, sparlare e confabulare.

 

La voce di Ludovica arriva come al solito come un fulmine. Ha una voce davvero fastidiosa.

 

<<Nessuno può uscire di qui finché non troviamo il mio vestito blu. Vale anche per te Giulia. Il fatto che non segui le mode del momento, non vuol dire che tu non possa averlo rubato>>.

 

Rettifico, non ha solo una voce fastidiosa, è proprio fastidiosa in generale.

 

<<Non ho bisogno dei tuoi vestiti, come vedi di solito non esco di casa nuda>> rispondo io e vedo che Pier sta sorridendo.

 

<<E’ inutile che fai la spiritosa, nessuno si muove di qui finché non troviamo il colpevole>> replica Ludovica.

 

<<Ti ricordo che oltre al tuo vestito ci sarebbe Martina da trovare. Vorrei tanto sapere chi ha pubblicato quelle maledette foto su Facebook, piuttosto che capire dov’è finito il tuo vestito>>.

 

<<La tua amichetta è sparita e adesso dobbiamo tutti fermarci a cercarla?>> e mentre dice l’ennesima cattiveria, si gira e se ne va.

 

 

<<Sei davvero una persona insensibile e vuota>> e mentre lo dico inizio a cercare nervosamente il mio zaino tra le poltrone del teatro. Penso a dove possa essere Martina, sono davvero preoccupata. Forse il mio zaino è rimasto nei camerini. Quando arrivo trovo Ludovica in contemplazione davanti ai vestiti appesi.

 

<<Ah, sei qui>> le dico. Lei non mi risponde ma mi accorgo che sta piangendo. Vorrei andare via, non ho nessuna voglia di consolarla ma non so cosa mi prende e con un filo di voce le dico <<tutto bene?>>

 

<<Certo, se sei qui per continuare con il tuo sarcasmo lascia perdere. Tanto non puoi capire>>.

 

<<Senti, non siamo amiche e non potremo mai esserlo, però se piangi ti si scioglie il trucco e non vorrai che qualcuno ti veda così?>> e mentre lo dico le passo un fazzoletto.

 

Lei lo afferra e mi dice <<sono stata io>>.

 

<<Sono stata io a fare cosa?>>

 

<<Sono stata io a pubblicare le foto>>.

 

 

Non ha finito di dirlo che credo di aver cambiato colore e le salto addosso atterrandola ma lei aggiunge <<volevo dirti che mi dispiace. Ero innamorata di lui e lei me lo ha portato via. Lui è l’unica persona che non mi fa sentire una stupida. Non avevo avuto il coraggio di confessargli che mi piaceva ma pensavo che lo avesse capito. Credevo che se lo meritassero. Non ho pensato alle conseguenze. In più quel vestito che è sparito arriva dall’atelier di mia nonna. Era un ricordo di famiglia, volevo indossarlo alla sfilata. Quindi avanti, arrabbiati, usa il tuo sarcasmo quanto vuoi. Non mi farai sentire peggio di quanto mi sento. Non è sempre facile essere me>>.

 

 

Non mi aspettavo questo tipo di confessione da parte di Ludovica. Mi rialzo ma sono comunque furiosa per la storia di Martina.

 

<<Se tu fossi meno antipatica, arrogante e cattiva, probabilmente sarebbe un po’più semplice essere te. Non dovevi pubblicare quelle foto. Non ci sono giustificazioni per questo. Pensa se l’avessero fatto a te. Pensa all’imbarazzo di Martina adesso>>.

 

<<Lo so, hai ragione. Ho fatto un errore. Ti ho detto che mi dispiace>>.

 

<<A volte non basta. Augurati che questa storia non finisca male perché a quel punto giuro che sarò spietata. Voglio che confessi tutto anche davanti alla preside, me lo devi>>. Ludovica si asciuga le lacrime e riacquistando la sua postura da modella e la sua voce fastidiosa mi dice <<Va bene, ma questo non vuol dire che siamo diventate amiche e che possiamo farci vedere in giro insieme>>. Ecco, mi sono già pentita di non averla picchiata.

 

 

Quando arrivo a casa trovo mia mamma e mia sorella in cucina e mi fermo ad osservarle.

 

 

Poi vado in camera e trovo sul letto un pacchetto con sopra un biglietto. Dentro al pacco c’è il vestito blu di Ludovica e sul biglietto c’è scritto “io dico che ti starebbe molto bene”. Firmato Pier. Ok, ora come glielo spiego a Ludovica? Tutto sommato almeno un problema è risolto. Mi butto sul letto e prendo il telefono. Finalmente c’è un messaggio di Martina che dice “Mi dispiace non averti raccontato cosa mi stava succedendo. Vorrei non dover tornare a scuola domani. Possiamo tagliare le lezioni e andare a nasconderci in qualche posto lontano?” tiro un sospiro di sollievo e le rispondo subito “Ti porto dove vuoi. Non hai idea di quello che è successo mentre ti cercavo. Credo di piacere a Pier Ferdinando, che mi ha rivolto la parola e ha rubato un vestito a Ludovica per farmelo provare. Ci va del tempo per i dettagli. A che ora posso rapirti?”. “Mi sono davvero persa tutto questo?! Passi tu per le 8?”. “Certo!” metto giù il telefono e guardo il vestito. Mi faccio un selfie davanti allo specchio e per la prima volta penso che in fondo non sono così male.

 

 

Mando la foto a Martina che mi risponde con cuore, faccina sorridente, cuore e il link di un video di Cesare Cremonini “Un giorno migliore”.

 

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