E' partita la xxv stagione dei concerti del FolkClub

Una storia decennale, più di mille artisti ospitati, una direzione intergenerazionale e grande talento. Cultura che si fa musica e musica che si fa cultura. Qui a Torino, si nasconde un piccolo centro culturale dal grande valore nazionale ed internazionale, sto parlando del FolkClub di Torino. Ma cos’è questo club? Ce lo racconta il suo direttore Paolo Lucà.

Lei come Presenterebbe il FolkClub a qualcuno che non ne sa assolutamente niente e che per la prima volta si affaccia a questa realtà?

“Il FolkClub nasce cinque anni dopo l’associazione Centro di Cultura Popolare, che compirà a breve 40 anni, e da quest’ultima esperienza è nata l’idea di creare uno spazio in città dove ascoltare un genere di musica che non aveva la dignità che le competeva, questo il desiderio di Franco Lucà, mio padre, cioè di dare al folk e alla musica popolare uno spazio e una dignità che nulla hanno da invidiare ad altri generi. Il FolkClub è la manifestazione di questo desiderio e qui si presentano artisti che spaziano generi differenti con la serietà e rigore che sono appannaggio di quella che è in Italia è considerata musica colta.”

Lei punta a una musica che possa trasmettere un messaggio culturalmente elevato, quindi, una musica che è definita di nicchia, ma che in realtà è dotata di una profondità tale che per certi aspetti rimane ignota alle grande pubblico?

“La musica che proponiamo si rivolge ad una nicchia, questo perché negli ultimi anni c’è stato un imbarbarimento culturale generale. Se negli anni il bacino a cui si rivolgeva il FolkClub si è dimezzato, significa che inevitabilmente la nostra proposta musicale, che ha certi contenuti culturali, un rigore e una serietà e una qualità di un certo tipo, incontra il gusto di una porzione ridotta della popolazione e noi rifiutiamo le proposte che perdono di qualità e originalità e autenticità, nonostante il bacino più vasto di pubblico. Bisogna ricordare che la musica “folk” è una musica dalla quale hanno attinto la grande maggioranza dei musicisti oggi. Certo è che il pubblico aumenta con difficoltà negli anni, c’è un ricambio generazionale, i giovani si avvicinano a questo certo tipo di musica e fruizione, perché ricordiamo anche che la musica per noi non è un contorno, ma è centrale, come un piatto principale sul menù di un ristorante; questo insieme agli artisti che instaurano col pubblico un dialogo non parlato.”

Quali progetti allora adottate per coinvolgere i giovani e un nuovo pubblico?

“Da quest’anno inizia un percorso con il dipartimento jazz del Conservatorio di Torino. Offriremo un palco importante come quello del FolkClub, con un personale professionale, perché è fondamentale per i giovani misurarsi con questo ambiente professionale, con un pubblico preparato e maturo che sarà molto attento e costruttivamente critico nei confronti dell’emergente. Il nostro pubblico, non rimane mai impassibile davanti alla proposta musicale e questo è tanto vero più tanto più l’artista si mette a nudo. È interessante, quindi, che alcuni artisti, anche professionisti, sul nostro palco si, passatemi il termine, “caghino addosso”. Questo accadde perché il FolkClub è un luogo famigliare dove avviene un interscambio culturale con il pubblico. Aggiungo che per un’artista suonare qui deve essere un punto di arrivo, per altri uno di partenza, abbiamo anche degli emergenti certo, ad esempio Mannarino che fece il suo primo concerto fuori da Roma proprio al FolkClub.”

Lei ha parlato, quindi di emergenti e non; e osservando il calendario della prossima stagione vedo moltissimi artisti stranieri, c’è per caso una linea guida di selezione?

“L’idea è di distinguersi dalla programmazione cittadina, da sempre ci sono artisti stranieri nelle nostre programmazioni, questo per creare uno scambio interculturale e dare la possibilità al pubblico di sentire e vedere artisti che in Italia non vedrebbero altrove. Dopo tanti anni ci sono artisti che vorrei invitare, ma non sempre è facile, bisogna tener conto di fattori particolari, ci deve essere varietà artistica e il pubblico non deve annoiarsi, serve sempre materiale nuovo. Quello che cerchiamo di fare, quindi, è dare possibilità di esser ascoltati ad artisti straordinari che non appartenendo al mondo del mainstream non hanno le stesse possibilità di questi altri artisti. Questa la sfortuna della società in cui viviamo, gli artisti che meriterebbero di avere una fama e una notorietà tale, con anche un riscontro economico, fanno in realtà fatica a mettere in tavola la cena, questo è difficile perché sai di vivere in un mondo ingiusto in cui affermarsi è difficile. Conosco centinaia di musicisti che meriterebbero anche solo di sopravvivere con la musica. Questa è una lotta difficile, bisogna abituare il pubblico assuefatto a certe banalità e non è facile. Devi istillare curiosità e cogliere un barlume nelle menti più aperte che poi saranno coloro che tornano ai concerti del Club.”

Ringraziando Paolo Lucà per la sua presentazione ricordiamo che per qualsiasi informazione si può visualizzare il sito ufficiale del FolkClub: www.folkclub.it, oppure consultare la pagina Facebook FolkClub. Questa è una realtà definita di carbonari sotterranei, cioè il loro modo di imporsi, poco chiassoso e senza clamore lavorando sodo e con professionalità. “Bisogna cercarci per poter trovarci” – Così afferma ancora Paolo Lucà; perché in fondo la musica non è qualcosa che piomba nelle orecchie dell’ascoltatore, certo può capitare di innamorarsi di un brano che passa casualmente alla radio, ma se provassimo autonomamente ad esplorare questo immenso mondo, se provassimo a cercare della musica di cultura che possa accendere emozioni profonde, e soprattutto lasciare una traccia impressa nella nostra memoria; sono sicuro che prima o poi giungeremo tutti quanti alle porte del FolkClub di Torino.

                                                                                               Matteo Bonino